Mi è capitato di recente di incontrare in qualche luogo pubblico degli israeliani, e ho notato che spesso nascondono di esserlo, fingendosi spagnoli o americani; non parlano ad alta voce in ebraico e mantengono un basso profilo, per timore di venire insultati o aggrediti, oppure semplicemente malvisti, non accolti. Ma da questo momento in poi, non sarà più solo un atteggiamento che adottano per evitare di essere vittime di eventi sgradevoli o per proteggersi da eventuali pericoli.

Il Jerusalem Center for Foreign and Security Affairs, dopo l’attacco antisemita in Colorado, ha dato delle direttive precise a cui tutti gli israeliani che viaggiano all’estero devono attenersi, come quella di diffidare delle persone sospette e di contattare il Consolato in caso di incidenti insoliti, perché è ovvio che – nonostante la cooperazione tra il Mossad e i Servizi segreti in molti Paesi – la capacità di proteggere i propri cittadini è limitata. Il Mossad non può piazzare due agenti dietro ogni israeliano. Quello che vale per loro, vale anche per gli ebrei della diaspora; anch’essi devono guardarsi alle spalle, soprattutto chi lotta attraverso iniziative legittime, usando gli strumenti della democrazia, contro la demonizzazione dello Stato d’Israele, opponendosi alla narrativa del genocidio a Gaza o rivendicando il puro e semplice diritto all’esistenza d’Israele, ormai messo in discussione nelle piazze che ne chiedono lo smantellamento.

Questa ondata di antisemitismo senza precedenti non è solamente causata dalle politiche di Netanyahu (che ciascuno è libero di condannare); esse vengono usate dagli odiatori come pretesto per delegittimare Israele nel suo diritto a esistere, e questo è un fenomeno che le leadership occidentali e i media non possono più ignorare. Ad esempio, il primo ministro inglese Starmer chiede un’inchiesta sulla sparatoria avvenuta qualche giorno fa contro i palestinesi che si stavano recando in un magazzino per acquistare farina. Giusto, ma Starmer non può non dire che i centri GHF hanno inflitto un grosso colpo alla capacità di Hamas di controllare e sequestrare gli aiuti umanitari, come avveniva prima; ed è per questo che Hamas farà di tutto per boicottarli, provocando qualche incidente che induca l’Idf ad aprire il fuoco vicino ai siti del GHF per poi dichiarare che è stato compiuto un massacro gratuito, sapendo che i media avalleranno in toto la loro narrazione.

Hamas e i suoi sostenitori combattono anche manipolando i media. La maggior parte dei resoconti provenienti da Gaza dovrebbe essere messa in discussione o considerata fortemente dubbia, finché non saranno disponibili ulteriori resoconti basati su prove visive. Se i media prendono per buone tutte le notizie che vengono dalla Striscia, Hamas non avrà alcun incentivo a fare un accordo. Continuerà a rifiutare qualsiasi cessate il fuoco, certa che i media occidentali incolperanno sempre e solo Israele, e magari faranno passare una guerra tragica e sanguinosa da parte d’Israele in risposta al 7 ottobre come uno sterminio di una popolazione innocente. Insomma, non bisogna mai mettere sullo stesso piano, come sta avvenendo, la violenza assoluta e gratuita del 7 ottobre da parte di Hamas con quella causata da questa guerra in risposta a tale violenza.